Il disgusto è uno stato affettivo – negativo evocato da stimoli repellenti.
Alcune teorie sull’origine biologica – evolutiva sostengono come quest’emozione, possa essersi sviluppata come risposta negativa al cibo considerato dannoso per la salute dell’individuo, coinvolgendo il senso del gusto e dell’olfatto. Non a caso infatti, il disgusto compare nell’uomo già nei primi mesi di vita ed inizialmente è rivolto verso odori e sapori che sono ritenuti sgradevoli. Rozin e Fallon, sul finire degli anni ’80 hanno inoltre sottolineato come il più delle volte, l’oggetto stimolante il disgusto sia di origine animale, integro o facente parte di esso.
In principio quindi, si tratta di una reazione neurochimica, che nel tempo, acquisisce significati psicologici: non condiziona solo il senso del gusto e dell’olfatto ma si allarga alla sfera cognitiva dell’essere umano (ad esempio disgusto per alcune azioni, pensieri, immagini), e in questo caso diviene consuetudine parlare di disprezzo, considerato l’ “evoluzione sociale” del disgusto. Che si tratti di uno stimolo sensibile o psicologico, le reazioni fisiche comunque sono del tutto similari, e questa somiglianza è stata dimostrata da numerosi studi. Ad esempio, in un esperimento effettuato dai ricercatori dell’Università di Toronto, sono state messe a confronto le reazioni mimiche – facciali in riferimento alla somministrazione di cibi e bevande amare, salate, acide ed all’esposizione ad immagini sgradevoli, ed è stato possibile notare una correlazione molto precisa tra l’attivazione dei muscoli labiali e il livello di disgusto percepito in entrambi i test. Il risultato di tale ricerca, ha dimostrato come il meccanismo di difesa del disgusto, agisca anche a livello sociale, ponendo l’individuo al riparo da situazioni potenzialmente pericolose. Per cui il disgusto, riconosciuto universalmente per le sue manifestazioni come una delle sei emozioni di base identificate da P. Ekman, al pari delle altre, possiede le sue specificità al fine di mantenere il benessere dell’individuo e la preservazione della specie: da una parte provoca il rifiuto verso cibi e oggetti dannosi, sotto il profilo sociale invece, comporta l’allontanamento da gruppi, persone, idee, che vengono etichettate comunque dannose.
In poche parole, è un meccanismo di difesa, il cui effetto pratico, è quello di istituire dei confini reali o immaginari fra il sé e ciò che viene ritenuto repellente e pericoloso.
Sotto il profilo comportamentale, il disgusto provoca una reazione di allontanamento e rifiuto verso un determinato oggetto, innescando anche modificazioni nell’aspetto fisiologico: nausea e aumento della salivazione (Angyal, 1941). Questa emozione inoltre, ha basi neuronali specifiche, da diversi studi infatti, è emerso come nella reazione al disgusto venga coinvolto anche il diverso funzionamento di alcune aree cerebrali: Amigdala, Insula, Gangli della base, Corteccia cingolata anteriore.
Secondo gli studi effettuati da P. Ekman il disgusto è un’emozione universale e facilmente riconoscibile attraverso l’osservazione delle micro – espressioni facciali: nonostante infatti possa variare lo stimolo provocatore di questa risposta emotiva (in base alla cultura o al proprio vissuto per esempio), la sua manifestazione è del tutto similare in gran parte degli abitanti del pianeta.
Analizzando la mimica facciale è evidente come:
- Il labbro superiore sia sollevato, mentre il labbro inferiore può essere ribassato o sollevato anch’esso;
- Il naso sia arricciato;
- Le palpebre inferiori siano sollevate e le sopracciglia abbassate;
In concomitanza con tali micro – espressioni, generalmente si nota una contrazione dei muscoli del corpo.
Alcuni psicoterapeuti ricercatori in ambito della terapia di coppia, sostengono che se, in sede di un primo colloquio si dovessero notare le micro espressioni tipiche del disgusto in uno o entrambi i coniugi, le probabilità di una buona riuscita della terapia si riducono notevolmente.
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